Storia dell’ulivo e dell’olio extra vergine d’oliva

Storia dell’ulivo e dell’olio extra vergine d’oliva

Oggi ripercorreremo insieme la storia del nostro prezioso frutto, l’oliva, e dell’albero che lo custodisce fino alla sua maturazione.

La storia dell’albero di olivo è antichissima: i primi disegni parietali che lo ritraggono risalgono al paleolitico, mentre la sua “domesticazione” è stata collocata nel neolitico.

L’origine dell’Olea Europaea sativa è stata individuata nella cosiddetta mezzaluna fertile, che corrisponde all’area compresa fra i fiumi Tigri ed Eufrate, sulle coste di Siria e Palestina. Qui sorgevano le prime civiltà mesopotamiche, già molto avanzate dal punto di vista dell’organizzazione sociale, il cui sistema normativo, il cosiddetto “Codice di Hammurabi”, conteneva anche la regolamentazione del commercio dell’olio.

I Fenici portarono questa coltivazione nelle isole Greche, la cui popolazione ben presto scoprì le qualità terapeutiche dell’olio: curava le ferite, alleviava i dolori articolari, aiutava a prevenire i disturbi gastro-intestinali, inoltre trovava uso nella cura cosmetica del corpo, nell’illuminazione delle strade e nella protezione del marmo dall’usura.

L’olio ricopriva per i greci anche un significato mistico, infatti si pensava purificasse i corpi dopo la morte e per questo era impiegato durante i riti funerari.

Infine costituiva il premio per gli atleti vincitori dei Giochi Olimpici, accompagnato da un ramoscello di olivo, segno di pace e fratellanza.

L’olio, per tutte queste funzioni e significati, era pertanto considerato un albero sacro agli dei e colui che veniva scoperto a reciderlo era punito con l’esilio o con la morte.

In epoca romana, l’olivocoltura conobbe un periodo molto fiorente. L’arte di coltivare gli olivi fu trasmessa dagli Etruschi ai Romani, i quali piantavano questi alberi nelle terre che conquistavano e assoldavano i soldati per occuparsi della produzione di olio, in particolare nelle colonie dell’Africa settentrionale e della Spagna meridionale. Il governo romano costruì le prime “fabbriche” per l’estrazione dell’olio e inventò le famose “anfore olearie” in terracotta, per il commercio e la conservazione, sulle quali veniva scritta la data di produzione, la provenienza del prodotto, i pesi del recipiente vuoto e del contenuto e il nome del commerciante esportatore: un antico formato delle nostre attuali etichette, dimostrandosi incredibilmente avanzato nella catalogazione degli alimenti. I Romani consumavano ingenti quantità di olio a scopi alimentari, preferendolo ai grassi animali, oltre che per la cura del corpo e l’illuminazione. Furono inoltre i primi a codificare le regole per ottenere un olio di elevata qualità, adeguato all’utilizzo alimentare: erano a conoscenza che un olio pregiato si ottiene da olive sane, integre, raccolte dall’albero e portate al torchio immediatamente dopo la raccolta, dimostrando di aver appreso quei principi agronomici tutt’ora validi e supportati da evidenze scientifiche

Con la caduta dell’Impero Romano e la conquista dei suoi territori da parte dei cosiddetti “barbari”, si tornò ad un’alimentazione basata primariamente sull’allevamento animale e la conseguente preferenza del lardo come grasso in cucina. Solo gli ordini religiosi continuarono ad occuparsi della coltivazione degli uliveti.

Dopo l’anno mille si tornò a produrre olio di oliva nel suolo italiano, e i commercianti veneziani e genovesi ripresero i loro traffici di olio lampante, che dal Sud tornò ad essere venduto al Nord ed esportato in gran quantità oltre i nostri confini.

Nella città di Firenze trovò largo impiego nella tessitura delle stoffe, con funzione di detergente e ammorbidente. A Venezia e Marsiglia si producevano saponi con i sedimenti dell’olio. L’area dell’attuale Salento si riempì di olivi e di frantoi, grandi locali sotterranei dove gruppi di lavoratori e animali si chiudevano per mesi, in condizioni igieniche inadeguate. Anche il resto del Sud Italia e delle Isole incrementò la propria produzione di olio, mentre inglesi e olandesi entrarono sempre più in concorrenza con la Serenissima per il suo commercio nel Mediterraneo.

Il Settecento vide incombere una rigida gelata che portò ad un diffuso abbandono di questa coltivazione nei territori dell’Europa mediterranea, mentre la Toscana incrementò la qualità della produzione locale sotto le direttive dell’Accademia dei Georgofili, la prima istituzione scientifica europea ad occuparsi di agricoltura. Nel corso di questo secolo vennero studiati i metodi di potatura degli ulivi e i traffici commerciali si spinsero fino alla Russia e oltreoceano.

La rivoluzione industriale portò con sé grandi cambiamenti nella destinazione d’uso dell’olio lampante, non più necessario per l’illuminazione e l’industria tessile, ma sottoposto a trattamenti chimici per la raffinazione e la conversione ad un olio adatto all’utilizzo alimentare.

Negli anni Venti del Novecento l’industria olivicola conobbe un grande impulso, che perdurò per alcuni decenni, fino alla grande gelata del 1956, che mise in ginocchio il settore agricolo. L’olio di oliva restava un bene prezioso, da custodire gelosamente nelle dispense e utilizzare solo come rimedio per disturbi di salute, alla stregua di un farmaco.

Con la nascita dell’Europa negli anni ’60 si ebbe la prima regolamentazione nel settore olivicolo, secondo una logica di sviluppo economico dell’agricoltura per aumentare la competitività a livello internazionale, anche se un’altra grande gelata, nel 1985, fece momentaneamente perdere all’Italia il suo primato come Paese produttore.

Il fisiologo americano Ancel Keys in quegli anni pubblicò autorevoli studi scientifici sulle proprietà salutistiche dell’olio extra vergine di oliva, confermando inequivocabilmente le straordinarie proprietà salutistiche di questo alimento, già scoperte nell’antichità.